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L'immagine dell'altro e quello che i media non dicono

Un ruolo attivo di chi fa informazione contro il proliferare della mentalità razzista, la scelta di cominciare con un uso più responsabile delle parole. Un articolo di Beatrice Montini, co-promotrice della campagna
26 gennaio 2009 - BEATRICE MONTINI (co-promotrice della campagna)

 (articolo pubblicato da Reti solidali, periodico del Centro servizi per il volontariato della regione Lazio). L'autrice è fra le promotrici della campagna Giornalisti contro il razzismo) 

La campagna "Giornalisti contro il razzismo" è iniziata a maggio scorso con l'appello "I media rispettino il popolo rom". Il nostro primo obiettivo è stato quello di spingere giornalisti e cittadini-lettori a riflettere sul ruolo dei mezzi di informazione nel fomentare diffidenza, paura, rabbia, razzismo verso gli stranieri residenti nel nostro paese. Sentimenti crescenti in Italia come denuncia anche l'ultimo rapporto Raxen (Rete di informazione europea sul razzismo e la xenofobia) che ha contato, tra settembre 2005 e settembre 2006, ben 203 casi di xenofobia. Uno ogni 43 ore. Successivamente, con la campagna "Mettiamo al bando la parola clandestino (e non solo)", abbiamo cercato di individuare alcune forme pratiche e immediate per migliorare l'informazione, avviando una sorta di pressing interno ai media per l'uso di un linguaggio più corretto ed obiettivo negli articoli riguardanti i migranti, il popolo rom, le minoranze. Perché, citando un bellissimo libro di Giuseppe Faso (diventato nostro compagno di viaggio), anche "le parole escludono".

 

Banner 160 x 160 Quello che i media non dicono

Ma facciamo un passo indietro. Secondo una ricerca condotta da Renato Mannheimer all'inizio del 2008, il 42% degli italiani non sa nulla dei rom. Alla scarsa informazione si aggiunge l'immagine negativa che molti italiani hanno di quella che di fatto è la più grande minoranza d'Europa (tra 7 e 9 milioni): il 47% dei duemila intervistati ha ammesso di associare gli "zingari" all'idea del ladro e del delinquente. Per un altro 35% rom significa individuo emarginato, povero, che vive in un contesto degradato. E quasi la totalità degli intervistati, il 92%, si dichiara d'accordo con l'affermazione che i rom "sfruttano i minori" e "vivono di espedienti e furtarelli". Infine ben l'84% pensa che i rom siano "nomadi" e vivano nei campi per "scelta culturale". Questi stessi pregiudizi, questa scarsa conoscenza che gli abitanti del Belpaese dimostrano verso rom e sinti, molto spesso, la ritroviamo sui media italiani dove rom e sinti vengono correntemente definiti "nomadi"; dove non si esita e parlare di bambini rom "Nati per rubare" (prima pagina di Panorama del 10 luglio) o di "piccoli rom che rubano tutto" (la Stampa, 22 settembre) solo per citare due degli esempi che abbiamo raccolto in questi mesi attraverso il sito www.giornalismi.info/mediarom. Per non parlare dell' "l'invasione dei rom romeni" e del pregiudizio antichissimo, quanto totalmente infondato, degli "zingari che rubano i bambini".

 

Condanne a mezzo stampa

Quando a maggio scorso abbiamo lanciato l'appello "I media rispettino il popolo Rom", sui maggiori quotidiani del Paese era in corso una feroce campagna "anti-zingara" rilanciata (dopo l'omicidio di novembre a Roma di Giovanna Reggiani) proprio da due identici quanto dubbi fatti di cronaca legati a presunti tentativi di rapimenti di bambini da parte di rom1: uno a Napoli (11 maggio) e uno in un centro commerciale di Catania (20 maggio). Il 12 maggio 2008, aprendo uno qualsiasi dei maggiori quotidiani italiani, il leit motiv è uno solo. Da la Stampa: "Emergenza nomadi - La rom ruba una neonata". A La Repubblica: "Ragazzina rom tenta di rapire una neonata". All'inevitabile Giornale: "Choc a Napoli: zingara in casa cerca di rapire una neonata". La miccia è stata accesa. Due giorni dopo nel campo rom di Ponticelli, dove si suppone vivesse anche la presunta rapitrice, scoppia quella che il Corriere chiama la "vendetta anti rom": roghi, molotov contro le baracche che costringono alla fuga decine di famiglie. Tuttavia la campagna politica e mediatica contro i rom non si ferma. Poco tempo dopo a Catania una donna denuncia ai carabinieri che una coppia di rom ha tentato di rapire la figlia di tre anni. Sui giornali le cronache sono già un sentenza di condanna: "Un altro tentativo di rapimento" spiega il Sole 24 ore, mentre il Giornale rilancia: "Rom tenta di rapire bimba strappandola alla mamma". Una titolazione, grave, tendenziosa, ma soprattutto sbagliata: a settembre, i due presunti rapitori di Catania sono stati prosciolti dal tribunale per non aver commesso il fatto . Mentre riguardo al presunto rapimento di Napoli a tutt'oggi restano molti dubbi sull'accaduto.

 

Un altro giornalismo

Scrive John Foot in un articolo intitolato "Ladri di verità" , apparso recentemente su Internazionale, che ripercorre proprio il caso Catania: "Tutti sono innocenti finché la loro colpevolezza non è dimostrata da un tribunale. Salvo che in Italia. Ho sempre trovato incredibile il modo in cui tanti giornalisti italiani accusano di reati persone innocenti. (...) È un giornalismo non solo pigro e cattivo, ma anche irresponsabile. Quella "notizia" diffusa dalla stampa e da altri mezzi d'informazione ha direttamente provocato delle violenze e ha contribuito a esasperare un clima già pesante. I giornalisti dovrebbero sempre lasciare un margine di dubbio prima di informarsi meglio". Nell'articolo Foot dimostra come in realtà sarebbe stato abbastanza semplice scoprire cosa realmente era accaduto in quel centro commerciale. Tanto che gli studenti di giornalismo dell'università di Catania, con un minimo di lavoro investigativo in loco, erano già riusciti a smascherare la bufala. Si tratta di un caso esemplare che ci riporta direttamente agli obiettivi di Giornalisti contro il razzismo: la necessità di presa di coscienza all'interno dei media dell'importanza di un giornalismo non banalmente "politically correct" ma semplicemente più corretto, aderente ai fatti, che rispetti la deontologia professionale dei giornalisti, il patto di lealtà verso i lettori, il diritto dei cittadini di essere informati. Un diritto sempre più messo in discussione in un Paese dove, come sottolinea Furio Colombo nel suo recente libro "Silenzio stampa", "il giornalismo non parla di se stesso, non analizza il proprio lavoro, non sosta a verificare il lavoro dei colleghi" e in cui "a parte severe e generali sanzioni dei Codici contro notizie false e tendenziose, non esiste alcun limite e neppure alcun pregiudizio o perdita di credibilità e di reputazione per le notizie non vere, deformate, estrapolate, isolate o accorpate al punto da non apparire più vere". Manifestazione delle comunità rom a Roma (giugno 2008)

Primo passo: cambiare il linguaggio

Forse anche per questo l'appello "I media rispettino il popolo rom" e poi quello di "Mettiamo al bando la parola clandestino" in poco tempo, hanno ricevuto centinaia di adesioni (oltre 700 ai primi di novembre). Moltissime provenienti da giornalisti e "mediattivisti". Ma non solo. Analizzando i messaggi che in molti postano sul blog ci siamo resi conto che il disagio e la preoccupazione che abbiamo percepito è molto più diffuso di quanto ci aspettassimo. Sentiamo che tra giornalisti ma anche tra i "fruitori" dell'informazione, c'è preoccupazione per come i media rappresentano i migranti che vivono nel nostro paese. Come "Giornalisti contro il razzismo" pensiamo che la battaglia per un giornalismo più corretto e rispettoso si tutti si debba svolgere su più fronti. Prima di tutto ogni singolo giornalista, redattore, collaboratore, può iniziare a cambiare qualcosa nel proprio modo di raccontare i migranti. Per questo all'inizio di luglio una trentina degli aderenti all'appello si sono incontrati a Firenze per scrivere un glossario-vademecum che individua alcune "parole da mettere al bando" (da "clandestino" a "nomade") e le possibili alternative. Ovviamente siamo consapevoli che le distorsioni dell'informazione non si esauriscono nell'uso inesatto, tendenzioso e stigmatizzante delle parole. Anche l'"etnicizzazione" dei reati (i rom rubano, i marocchini, spacciano, gli albanesi commettono le rapine), la drammatizzazione di singoli fatti di cronaca, l'uso di metafore offensive o criminalizzanti, sono tutti elementi che contribuiscono a creare un'informazione povera, distorta, scorretta e, come abbiamo visto, pericolosa. Senza dimenticare l'assenza quasi totale della voce dei migranti stessi sulle pagine dei nostri media che ci deve portare a riflettere anche sulle "fonti" delle notizie e sui meccanismi di verifica delle stesse. Per questo abbiamo iniziato a creare (anche tramite il sito) un gruppo di lavoro per sperimentare e mettere a punto forme di azioni verso i singoli media e parallelamente avviare un dialogo e aprire spazi di discussione pubblica a cui tutti, iniziando dai migranti, sono chiamati a partecipare.

 

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