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12 febbraio 2011 - Carlo Gubitosa

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Una cattiva legge del 2001 che colpisce un sito antimafia nel 2008 e fa notizia nel 2011

Quando i bavagli arrivano da sinistra

Dopo una condanna in appello per "stampa clandestina" di un sito antimafia torna a far discutere la legge 62/2001 sull'editoria. I sedicenti "libertari" ex DS che hanno partorito quella legge piu' o meno in buona fede si sono accorti a dieci anni di distanza che le leggi scritte male sono bombe a tempo pronte ad esplodere quando qualcuno le interpreta a modo suo.
30 maggio 2011 - Carlo Gubitosa

Homepage di accadeinsicilia.net

Torna a far discutere una condanna per "stampa clandestina" che ha colpito un sito antimafia fatto alla luce del sole, un paradosso che nasce dall'incontro di una regola fascista con le nuove tecnologie del terzo millennio. Il "clandestino" in questione e' Carlo Ruta, che dopo aver subito l'oscuramento del sito www.accadeinsicilia.net e' stato condannato in primo appello nel 2008 dal tribunale di Modica e in secondo grado nel 2011 dalla corte d'appello di Catania per non aver registrato le sue pagine web come testata giornalistica. 

L'obbligo di indicare il responsabile di un giornale e il luogo in cui veniva stampato fu introdotto dal fascismo per controllare chi scriveva e chi stampava, e per pizzicare con le mani sporche di inchiostro chi produceva fogli sgraditi al regime. Anche quando nessuno era piu' fascista o ricordava di esserlo stato, la legge sulla stampa del 1948 ha mantenuto intatto il vincolo di registrazione delle testate, ma solo di quelle cartacee.
L'obbligo di registrazione e' stato successivamente esteso anche ai siti internet con la discussa legge sull'editoria del marzo 2001. Giuseppe Giulietti (ex DS, ora IDV e promotore dell'associazione "Articolo 21" per la liberta' di espressione) fu l'insospettabile relatore di quella legge che obbligava alla "schedatura" anche i "prodotti editoriali" diffusi in rete, equiparando a i siti web a testate giornalisiche, senza fare troppa distinzione tra i siti dei grandi editori e quelli dei privati cittadini. 

Giulietti e altri politici "di sinistra" co-autori di quella normativa, come Vannino Chiti e Vincenzo Vita (entrambi ex DS, oggi PD) avevano reagito al coro di proteste dell'epoca affermando che l'obbligo di registrazione avrebbe toccato solo i siti che vogliono accedere a finanziamenti e sgravi fiscali. Peccato che questo non fosse scritto chiaramente nella legge 62 del 2001, successivamente interpretata nei modi piu' vari.

"Io sono un libertario per eccellenza - dichiaro' Giulietti dopo le contestazioni dei mediattivisti - e troverei folle che chi ha un sito amatoriale, anche aggiornatissimo e frequentatissimo, fosse obbligato a registrarsi in Tribunale come una testata giornalistica".
Ma l'articolo 1 di quella legge era molto chiaro: "Per «prodotto editoriale», ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico".

E quindi quella che Giulietti condiderava "follia" diventa realta' gia' nel giugno 2001, tre mesi dopo l'applicazione della legge, con l'oscuramento e la condanna di un sito blasfemo (eretico.com) elevato al rango di "testata giornalistica" per colpa di una legge mal fatta, ancora oggi a disposizione di chiunque vuole tappare la bocca a uno spazio di informazione sul web. Condannare per stampa clandestina eretico.com e' stato come condannare le scritte nei bagni degli autogrill per violazione delle leggi sulla stampa, ma all'epoca furono in pochi a lanciare segnali di allarme rilevando questa incongruenza.

Nel 2001 ero uno di questi pochi, e scrissi che il problema non era la legge in se', piu' fumosa che liberticida, ma il fatto che fosse scritta male e interpretabile peggio, "a discrezione" di chi la applicava, il che la rendeva un pericoloso grimaldello a disposizione di chiunque voglia imbavagliare un sito. Il mio articolo del 2001 e' ancora disponibile su http://www.vita.it/news/viewprint/3208

Nel giugno 2008, dopo la fine ingloriosa del sito anticlericale eretico.com, e' toccato a Carlo Ruta essere condannato per "stampa clandestina" da un giudice che si e' aggrappato alla legge 62/2001. L'effetto principale di questa condanna e' stato colpire lo sforzo di memoria storica con cui Ruta ha esposto in rete i panni sporchi della mafia. L'omicidio del giornalista Giovanni Spampinato, le coperture ricevute dal suo assassino dentro e fuori dai tribunali, le vicende poco chiare della Banca Agricola Popolare di Ragusa: tutto questo e' stato bollato come "stampa clandestina", memoria illegale, pagine di storia da strappare. E il "fuoco amico" utilizzato per colpire Ruta e' stata proprio quella legge scritta dai "libertari".
Questa censura non era fascista ne' berlusconiana, ma e' nata da un mix di ignoranza legislativa, stupidita' esecutiva e malafede giudiziaria, e forse proprio per questo non ha trovato spazio nei grandi media, ed e' rimasta sommersa assieme a tanti altri casi di "malagiustizia".

Per sollevare l'attenzione sulla vicenda Ruta e altri episodi di "censura minore", nel 2008 con l'associazione PeaceLink e Metro Olografix organizzai a Pescara il convegno "Cyberfreedom". (Gli atti di quell'intervento, compreso l'intervento di Carlo Ruta, sono ancora disponibili in rete all'indirizzo cyberfreedom.olografix.org).
Furono invitati anche "censurati eccellenti" come Luttazzi, Grillo e Travaglio, e ci rispose solo Luttazzi, ma per dire che non sarebbe venuto. E nel frattempo tante vicende come quella di Ruta covavano sotto la cenere.

Nel maggio 2011 il "caso Ruta" esplode di nuovo con la condanna in appello e il "popolo di Facebook" scopre che dal 2001 esiste una bomba a orologeria chiamata legge 62/2011 piazzata sotto ogni sito web potenzialmente scomodo.

In rete iniziano a circolare allarmi scomposti, e su ilfattoquotidiano.it Enzo di Frenna lancia un dubbio inquietante ma poco realistico: "50 mila blog chiusi per stampa clandestina?" come se per fare notizia non bastasse un sito chiuso per una legge demenziale, e c'e' bisogno di paventare l'oscuramento globale della rete.

Quando il discorso cade sulla legge 62/01 Frenna sostiene nel suo articolo che il vero problema "è la completa o scarsa conoscenza di cosa sia la Rete da parte di grandi pezzi dello Stato". Per quanto mi riguarda, il "vero problema" e' la completa o scarsa conoscenza da parte dei cittadini degli sfaceli prodotti dai PDS/DS in materia di informazione, comunicazione e tecnologie.

L'elenco e' lunghissimo, e oltre a questa legge sull'editoria interpretabile come un'equiparazione dei siti alle testate giornalistiche va segnalata anche la riforma della legge sul diritto d'autore (la legge 248/2000) che ha equiparato la pirateria informatica di massa a scopo di lucro con la copia singola fatta senza mettersi soldi in tasca, e la legge Maccanico sull'emittenza radiotelevisiva, l'unica dichiarata anticostituzionale perche' non ha stabilito una data certa di chiusura per Retequattro.

Chiamata in causa, l'associazione di Giulietti si risveglia dal suo torpore e dice che e' colpa di chi ha interpretato male la legge: "è stato il giudice, contestato per altro  dagli avvocati e con interpretazione inedita, a stabilire un nesso tra quella legge e quella del 2001 che aveva ed ha come principale ragione la ridefinizione dei criteri di asegnazione dei contributi".  

Ma allora, caro Giulietti, non potevate scriverla meglio quella legge per evitare "interpretazioni inedite"? E poi perche' sarebbero "inedite" quando gia' a tre mesi dalla sua promulgazione, cioe' dieci anni fa, c'e' stata la prima interpretazione repressiva di quella legge che il "popolo della rete" ha contestato da sempre e da subito? 

La redazione di articolo21.org ha scritto che "siamo pronti a promuovere anche un progetto di legge che punti decisamente sulla abrogazione di tutte quelle norme che possono prestarsi ad interpretazioni ambigue, perchè quando si parla di libertà di informazione, le precauzioni non sono mai troppe, e noi siamo tra quelli che continuiamo a preferire un eccesso di controlli e di critiche rispetto al silenzio, alle omissioni, alle collusioni di qualsiasi natura e di qualsiasi colore".

Ottima iniziativa: magari sarebbe stato meglio realizzarla dal 2006 al 2008 quando Giulietti era in parlamento tra i banchi della maggioranza con il secondo governo Prodi, che invece non ha ritenuto opportuno modificare quella norma. Sarebbe anche interessante discutere di progetti di legge per le "liti temerarie" fatte per imbavagliare i giornalisti sotto il fuoco incrociato degli studi legali, o di norme che limitino le conseguenze civili e penali per i reati collegati alla libera espressione del pensiero, o studiare dispositivi che in caso di vittoria legale riconoscano al querelato la stessa somma indebitamente pretesa dal querelante, oppure obbligare chi sparge querele ai quattro venti a lasciare in tribunale un deposito cauzionale pari al 20% della somma richiesta.

Indipendentemente dai temi cbe verranno affrontati da questa sinistra, mi permetto un piccolo suggerimento: se farete una nuova legge sull'editoria per evitare norme "che possono prestarsi ad interpretazioni ambigue" non fatela scrivere a Giulietti, a Chiti o a Vita. E men che meno a Mauro Masi, che prima di diventare l'uomo di Berlusconi ai vertici della Rai ha lavorato "a sinistra" proprio alla riforma del diritto d'autore e alla legge sull'editoria.

Sono in pochi a ricordarlo, ma prima di mettere le mani sul servizio pubblico televisivo prendendo ordini dal capo del Governo, Masi ha messo le mani proprio slla legge 62/2001 che ha fatto condannare Ruta, una legge che "incidentalmente" ha fatto arricchire altri "soliti noti" a colpi di provvigioni a fondo perduto. Si tratta di quei 700 milioni di euro documentati come approssimazione per difetto nel libro "La casta dei giornali" (edizioni Stampa Alternativa), soldi che vengono distribuiti tra i piu' vari organi di informazione collegati al potere, e perfino a quella Confindustria che predica la competizione autoregolatrice del libero mercato dal pulpito del suo giornaletto salmone, foraggiato con soldi pubblici esattamente come la Pravda comunista. 

All'epoca dei fatti Masi aveva rassicurato a modo suo chi scriveva sul web senza scopo di lucro: "la legge non è estensibile ad alcunché. Quindi non c'è - e lo dico formalmente - alcun obbligo aggiuntivo, e non c'è l'obbligo dell'iscrizione a Tribunale per nessun sito. Proprio non esiste al mondo". Vallo a raccontare a Carlo Ruta, si vede che la corte d'appello di Catania l'hanno spostata sulla Luna, e quindi non rientra nel "mondo Masi".

Anche sulla questione dei finanziamenti a fondo perduto mi piacerebbe sapere cosa ne pensano Giulietti e Articolo 21: in fin dei conti per democratizzare i sussidi all'editoria basterebbe introdurre un meccanismo simile al 5 per mille, in modo che ogni cittadino possa indicare il codice fiscale dell'associazione culturale o dell'azienda editoriale che vorrebbe sostenere con le sue tasse. Sono proprio curioso di vedere quanti soldi arriverebbero in questo modo al foglio di Ferrara e ai vari cartocci del pesce stampati con soldi pubblici che affollano le edicole.

E per finire, un ultimo consiglio: se metterete mano alle norme che regolano internet, l'editoria e i finanziamenti pubblici alle imprese editoriali, potranno arrivare delle critiche per rischi prevedibili sin da subito. E allora se avete imparato qualcosa da questo pasticcio brutto, non metteteci altri dieci anni a capire che una legge e' stata scritta male. E quando la frittata ormai e' fatta, come in questo caso, non date tutta la colpa ai magistrati se da una norma fumosa nascono "interpretazioni inedite", e provate a rispolverare il concetto di responsabilita' politica per atti magari fatti in buona fede, con buone intenzioni e senza voler colpire la liberta' di espressione su internet, ma che alla prova dei fatti si sono rivelati un'arma a doppio taglio.

Detto questo, in questa vicenda la mia considerazione non va verso chi ha scritto questa legge e adesso cerca di minimizzare le sue responsabilita' contestando le scelte dei giudici (mi ricorda qualcosa di gia' sentito...) ne' agli allarmisti della blogosfera che annunciano l'apocalisse.

In questo bailamme tutto italiano la mia stima e la mia solidarieta' vanno a Carlo e Giovanna, che rimettendoci tempo, salute e soldi lottano da anni nell'ombra contro i bavagli legali assieme a poche e isolate voci nel deserto. Sono onorato di aver dato voce e spazio alla loro coraggiosa esperienza umana quando il loro caso era ancora confinato nel ghetto degli "addetti ai lavori". 

Solidarieta' anche a Paolo Barnard, che ha pagato un prezzo altissimo sul piano umano e professionale per denunciare i contratti capestro della Rai e i silenzi su quella che lui chiama la "censura legale", ovvero i bavagli di carte bollate che colpiscono i piu' piccoli e i piu' deboli, e che ci fanno indignare molto meno degli editti bulgari.

E adesso torniamo pure a occuparci di intercettazioni, riempiamo la rete di post-it e firmiamo ogni genere di appelli per le censure "di serie A": ma nel frattempo non dimentichiamoci mai piu' dei "militi ignoti" dell'informazione che stanno combattendo da anni contro la censura piu' vigliacca: quella con cui i potenti schiacciano gli invisibili.
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