Gruppi di tematiche

I bambini fantasma, il ballo delle cifre e le "crociate culturaliste"

Su alcuni blog e quotidiani è stato lanciato l'allarme sulle "bambine mai nate": cioè la presunta pratica dell'aborto selettivo da parte di donne di nazionalità straniera. Un tema delicato, basato su dati parziali, che ha però portato articolisti e commentatori ad esprimere giudizi perentori. Un caso istruttivo sull'uso giornalistico delle statistiche e sulla ricorrenza delle interpretazioni culturaliste
29 novembre 2011 - Giuseppe Faso

Pubblichiamo un lungo articolo di Giuseppe Faso, che ricostruisce un caso - la presunta pratica di aborti selettivi fra gli immigrati, con eliminazione delle nasciture - trattato con una certa enfasi da quotidiani e blog, su scala sia locale che nazionale. Ci pare un caso istruttivo, perché la base di partenza è costituita da una ricerca che propone alcuni rilevamenti statistici non esaustivi (per l'indisponibilità di dati completi e attendibili), senza che ciò abbia impedito di trarre conclusioni perentorie e interpretazioni che Faso definisce giustamente "culturaliste". Giuseppe Faso è autore di "Lessico del razzismo democratico".

 

Crociate culturaliste

Neonati

Negli ultimi giorni è scoppiato su alcuni giornali e sui blog il caso delle bambine mai nate.

Intendiamoci: si tratta di un problema serio e drammatico, che bisognerebbe conoscere meglio e contrastare con efficacia, a diversi livelli: giuridico e socioculturale. Non tornerò a ribadirlo. Ma spesso ci si impadronisce di un tema serio e lo si usa da farisei, come scriveva un famoso saggio.

Così, in numerosi organi di stampa si è intervenuti in maniera per lo meno impropria e strumentale su tale tema.

Il lancio sul "Corriere"

Si comincia con un articolo di Polito sul "Corriere della Sera" del 6 novembre. Il titolo richiama al "mistero delle bambine mai nate nelle comunità cinesi e indiane". L'inizio è eloquente: "Avviene nelle nostre città. Nei nostri laboratori medici. Forse persino nei nostri ospedali. Quella che è stata chiamata «la guerra mondiale contro le bambine» ha un fronte italiano. Sembra proprio che il «genericidio», cioè l'aborto selettivo delle femmine, sia una pratica che le comunità di immigrati cinesi e indiani hanno portato con sé fino da noi. Lo dicono i dati elaborati per la prima volta da Anna Meldolesi, in un libro appena uscito (Mai nate, Mondadori). Nonostante le statistiche a disposizione siano ancora scarse (si ragiona su dati Istat che coprono gli ultimi quattro anni), la tendenza che illuminano non lascia spazio a dubbi."

Pur rimandando, com'è giusto, a una complessità di ragioni per spiegare il fenomeno, Polito insiste sul fatto che si tratta di "un fenomeno culturale", che secondo una metafora cristallizzata, ma fuorviante sul piano cognitivo e ambigua su quello morale, si mette in valigia e ci si porta dietro: "E ha preso a viaggiare con i migranti, insieme al loro bagaglio". Ed ecco il risultato del viaggio con bagaglio appresso: "Negli ultimi quattro anni, per ogni cento neonate cinesi in Italia ci sono stati 109 maschi. Percentuale alta, ma non altissima, rispetto alla norma di 105. Se però si considerano solo le nascite dei terzogeniti e dei figli successivi, si scopre che la «sex ratio» sale fino a 119. È il classico schema che si associa all'aborto selettivo: le famiglie lasciano al caso il primo figlio, e forse anche il secondo; ma dal terzo in poi non corrono più rischi se il maschio non è arrivato. Peggiori sono i dati della comunità indiana: 116 maschi ogni cento femmine, e addirittura 137 dal terzogenito in su. Per quanto il campione sia piccolo, e la serie di dati breve, ci sono pochi dubbi su che cosa stia accadendo." Polito ricorda una risoluzione del Consiglio d'Europa, il pericolo che le bimbe siano abortite "nelle pieghe della 194", e invita a una battaglia legislativa e culturale da ingaggiare con urgenza, non senza aggredire con impennata oratoria finale un fantasma di comodo : "la forma più orribile di relativismo culturale: quella che ci fa chiudere un occhio quando una bambina non nasce".

Sacrosante alcune preoccupazioni, urgente il tema. Restano le scelte di strategia discorsiva, che sono sensazionalistiche. E il fatto che quando ci sono di mezzo dei cittadini non italiani, si chiudono non uno, ma due occhi e si parte per le crociate.

Il libro

Il sensazionalismo viene rilanciato su giornali, siti e blogs, oscurando l'analisi del libro che comunque ne ha guadagnato in pubblicità (l'autrice infatti riporta alcuni consensi con entusiasmo sul suo blog, senza storcere il naso per la piega ascientifica e volgare). Non del libro conta parlare, in questa sede, se non per ricordare che l'autrice è una brillante giornalista scientifica, e che anche nella scheda editoriale rintracciabile in internet sulla scientificità dei dati statistici e del ragionamento fa aggio la minaccia del "contagio" di cui le immigrate si potrebbero far portatrici, e, sullo sfondo, lo scontro (di culture) tra nuovo e vecchio: metafore e schemi distanti dal rigore dell'argomentazione scientifica. Altrove, e più a lungo, si potrà ragionare su questo libro.

L'uso pubblico

Veniamo all'uso che ne hanno fatto i giornali e il web (di cui questo sito si occupa). Che hanno ripreso gli aspetti generalizzanti e sensazionalistici già promessi dalla scheda editoriale e dall'intervento di Polito, accentuandoli pesantemente. Si tacciono qui episodi minori, e si analizzerà brevemente l'inserto fiorentino de "La Repubblica", esemplare nella sua oltranza.

Neonati

Si comincia il 13 novembre con un titolo in prima pagina, ripreso nelle due pagine successive, ruotanti intorno a un intervento di Michele Bocci e Laura Montanari, "Il mistero delle 500 bimbe mai nate in Toscana". Nel sottotitolo si parla di "sospetto del ricorso ad aborto selettivo", ma il tono è tutt'altro che cauto, come si converrebbe a un argomento così delicato (se davvero lo si volesse affrontare in pratica):

"Cinquecento bambine mai nate in Toscana. I dati dei parti negli anni dal 2008 al 2010 hanno un andamento preoccupante. In certe comunità di immigrati nascono poche femmine. Si teme il fenomeno degli aborti selettivi, che colpiscono le donne, ritenute destinate a una vita difficile dentro famiglie dove è l'uomo a comandare.

Il rapporto tra i sessi alla nascita viene detto "sex ratio" e prevede che ogni 100 femmine nascano un po' più maschi, 105. Questi dati, secondo le tabelle dell'Agenzia regionale di sanità (Ars) sono rispettati quasi al centesimo se si vanno a prendere i quasi 100mila bambini venuti al mondo in Toscana nei tre anni fino al 2010. Se però si scende nelle singole comunità di stranieri si trovano delle sorprese. In quella cinese nascono 111 maschi ogni 100 femmine, in quella albanese addirittura 115, in quella romena 113. Si tratta tra l'altro dei tre gruppi più grandi nella nostra regione. Se rientrassero, insieme ad altri meno numerosi, nella media della "sex ratio", in Toscana nascerebbero circa 165 bambine in più ogni anno. L'assessore alla salute Daniela Scaramuccia annuncia che chiederà di studiare il fenomeno per capire se è preoccupante o se si tratta di una casualità epidemiologica.(...) Anche nella nostra regione la differenza tra maschi e femmine nati da donne indiane è altissima, 141 a 100, ma il dato assoluto delle nascite tra questi immigrati è molto basso, circa un decimo di quello dei cinesi, per dare un risultato significativo."

Vengono poi riportate le parole meditate di una esperta: «Mi stupiscono i dati sui romeni e sugli albanesi. Non mi risulta che questi immigrati facciano diagnosi prenatale precoce per scoprire il sesso dei nascituri». A parlare è Valeria Dubini, responsabile della ginecologia di Torregalli, vicepresidente della società italiana dei ginecologi ospedalieri e da sempre impegnata anche nell'assistenza agli immigrati. «Per quanto riguarda le donne cinesi, nel loro paese c'è una politica demografica che favorisce obbiettivamente l'erede maschio. Così non si può escludere che anche nel nostro paese seguano dei percorsi simili, magari cercando anche una diagnosi precoce del sesso. Secondo me i dati però non dimostrano una prevalenza della scelta del genere del nascituro». Dubini da sempre si batte per l'applicazione della legge 194. «L'aborto selettivo è una aberrazione – dice. Uno strumento così importante per molte non può essere usato in quel modo.(...)»." Si noti il disappunto del cronista di fronte alla cautela dell'esperta, e la sua preferenza per un altro discorso avvelenato, che poi sarà ipotizzato sul giornale come ragione di una proclamata omertà delle istituzioni.

La messa in scena delle 500 scomparse

Persone di buon senso, che magari si preoccupano dei dati mondiali sull'aborto selettivo e da anni cercano di seguire attentamente i dati italiani e locali, devono aver avuto lo stesso atteggiamento saggio della dott.ssa Dubini: teniamo presenti i dati, controlliamo da vicino l'evolversi di quelli più preoccupanti, evitiamo di seguire i clamori fatui della stampa sulla messa in scena delle "500 bambine scomparse" in tre anni. Per questo, mentre l'autrice del libro sul suo sito esulta con tifo da stadio americano - "La Toscana non delude e si schiera dalla parte delle missing girls"  -, lo scalpore rientra.

La gestione del contorno

Eppure il quotidiano ce l'aveva messa tutta, per fare esplodere un "caso" di lungo rendimento. Aveva affidato un fondo a una scrittrice stimata, Elena Stancanelli, che, pur scivolando in alcune immagini stantìe (come il "medioevo culturale" nel titolo e nel finale scontato), svolge un discorso dignitoso, non di scuderia, e rifiuta la spiegazione culturalista cui tanto si affidano gli altri giornalisti. Nella terza pagina dedicata alla campagna, i due autori dell'articolo intervistano una ex-assessora di Prato (che sembra non aver fatto altro per anni che accompagnare donne cinesi a fare la villocentesi, ossessionate dalla voglia di avere un maschio: c'è da chiedersi come mai il rapporto maschi-femmine sia rimasto così basso, sembra sui 110/100 circa), una ginecologa del consultorio di San Donnino e Maria Omodeo, sinologa del Cospe, che dice di non avere mai riscontrato in Toscana il fenomeno; ma quest'affermazione viene sommersa dall'uso di altre considerazioni della studiosa, che spiega con la notoria onestà intellettuale perché nelle campagne (in Cina, e non qui, particolare non evidenziato dai cronisti) si possa preferire avere un maschio.

Il delitto è di strage

L'intervento di Maria Omodeo

 

Mi introduco in questo dibattito che ho letto con crescente stupore tristezza. Mi sembra infatti che l’allarme che la Sig.ra Meldolesi lancia contribuirà ad approfondire il solco fra chi si sente di dover tirare fuori sempre nuovi motivi di allarme per la presenza di cittadini d’origine straniera sul suolo italiano e chi cerca in tutti i modi di inserirsi in questa società.


Anna Meldolesi si presenta come una persona molto attenta ai diritti delle donne, ma ho già visto capitare anch’io quel fenomeno cui fa riferimento Mimma per le donne musulmane. Per quanto riguarda le donne cinesi mi è successo di sentir dire che “la dimostrazione che le donne cinesi sono sfruttate è anche il fatto che ad accompagnare i bambini a scuola di solito sono i padri”. Quand’ero giovane io, ricordo che si diceva che il fatto che i padri non si occupassero dei figli era prova di maschilismo.


Lavoro da esattamente 20 anni con cittadini d’origine cinese residenti in Toscana (e non solo). Mi sono laureata in cinese all’università, 30 anni fa, e ho vissuto per anni in Cina. Ho sempre cercato però di mantermi curiosa nei confronti di ciò che mi circonda e neutrale nelle prese di posizione finché non ho in mano prove concrete delle cose. Il fatto che in Cina manchino tante donne all’appello è un dato di fatto. Assieme alla mia associazione lavoriamo anche con un’associazione cinese che opera per salvare le bambine e i bambini abbandonate e abbandonati in aree rurali della Cina centrale.

Abbiamo capito una cosa, in questo lavoro terribile: non vengono abbandonate e abbandonati per motivi culturali ma perché le famiglie non sanno come mantenerle e mantenerli. Finché sono sani, ad esempio, le famiglie li tengono, ma alla prima malattia li portano in ospedale e poi – non essendo in grado di pagarne le cure – li lasciano lì. Quando qui si pensa alla Cina, si dà per scontato che sia tutta, o quasi tutta, come ce la dipinge il nostro immaginario: una stampa poco accorta, mal informata o in cattiva fede ci presenta una economia in sviluppo così veloce da mettere in ginocchio il resto del mondo, pochi ci raccontano le tante contraddizioni di questo Paese. Uno sviluppo ineguale che spinge le persone a cercare soluzioni diverse per i problemi che affrontano tutti i giorni e a scegliere modi diversi per raccogliere le opportunità che la nuova liberalizzazione economica offre.

Non voglio qui entrare nel merito di che cosa possa significare una “cultura cinese”, analogamente a come non saprei dire che cosa potrebbe significare una “cultura europea”. Ma voglio parlare di una cosa che conosco in modo diretto: sono 20 anni che sul territorio italiano mi confronto su quanto danneggia le migliaia di cittadini cinesi che vivono qui il fatto che il contesto locale li voglia inserire in un’unica categoria. Ho sentito dire di tutto (da parte degli italiani): quando non vanno a scuola i bambini è “perché in Cina si dà poco peso all’istruzione”; quando non imparano l’italiano è “perché sono chiusi”; quando in classe si addormentano “é perché i genitori li fanno lavorare, vedono i figli solo come forza lavoro”. A volte ci sono anche pregiudizi positivi: “i bambini cinesi a scuola non fanno confusione” (e quello che fa confusione è visto come l’eccezione)… ecc. Ma tutti facciamo i dovuti distinguo fra due bambini autoctoni: noi tutti diversi, gli altri tutti con lo stampino?


Ho avuto modo di condividere migliaia di storie personali di speranze, dolori, frustrazioni, successi, ecc. di tante e tante persone diverse, che hanno / avevano come unico comune denominatore il fatto di essere di nazionalità cinese e residenti in Italia.
Mai una volta in 20 anni mi è successo che una donna di cittadinanza cinese mi dicesse che voleva abortire perché incinta di una femmina. Mi è successo moltisime volte che mi dicessero che non sapevano come tenere il bambino o la bambina che avrebbe dovuto nascere (“non ho i soldi per mandarlo in Cina”, “non me lo prenderanno al nido”, “perderò il lavoro perché non ho a chi lasciarlo e non posso portarlo nel capannone dove lavoro”….). In angosciosi e lunghi colloqui mi trovo a fare la sorella ottimista, più che l’operatrice, ad essere un orecchio amico per persone in crisi, che spesso hanno solo bisogno di fermarsi e parlare a se stesse. A queste aspiranti mamme spaventate chiedo: “ma tu lo vorresti tenere?”. “Certo che sì, ma come faccio?”.

Parlano, parlano, piangono, prendono una loro decisione. Poi mi portano a conoscere il bimbo o la bimba, maschio o femmina, non ho mai pensato di trarne una statistica. Quando erano venute a chiedermi consiglio su dove potevano andare per l’interruzione di gravidanza, l’aspetto centrale è sempre stata la preoccupazione di non avere gli strumenti per crescere bene il proprio figlio o la propria figlia in un contesto per loro troppo ostile. Ricordo ancora in modo traumatico l’episodio di una coppia a cui era nata una bimba affetta da sindrome di Down: i servizi tentavano in tutti i modi di convincere i genitori a darla in adozione ad una famiglia italiana (d’origine e di cittadinanza italiana) così avrebbe potuto “essere seguita meglio, con tutte le cure di cui avrà bisogno”. La madre stringendola diceva “ma è figlia mia, io le voglio bene. Potete aiutare me a curarla per bene? Posso tenerla?”.

Gli oltre settemila casi non fanno statistica, lo so bene. Ma per una come come me che ha visto e sentito davvero di tutto, la mia personale statistica ha valore, è quella dell’esperienza. I cittadini cinesi con cui ogni giorno mi confronto mi chiedono dove possono iscrivere i bambini al nido (problema enorme, per chi fa lavori atipici come quello dei cinesi è difficilissimo fare il punteggio che serve per ottenere il posto negli asili nido. I giovani genitori non hanno nonne e zie che possano badarli e chi non lavora per badare ai figli perde la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno). Il nido lo chiedono sia per i maschi che per le femmine.

Tantissimi mi dicono che sono emigrati perché avevano avuto un secondo, un terzo figlio o figlia: in altri paesi d’Europa in casi analoghi danno loro lo status di rifugiato, perché si considera un diritto l’avere un figlio. La cattolicissima Italia invece preferisce dare lo status di clandestino, ma questa è un’altra storia.
Sono stata intervistata da “Repubblica” quando è uscito l’articolo cui qui sopra si è fatto spesso riferimento: non avevo letto il libro, né l’ho letto dopo e non entro quindi nel merito delle statistiche che riporta. In quella intervista ho detto una cosa che voglio ridire anche qui: il contesto cinese in cui mancano all’appello così tante bambine è stato provocato da una legge, quella che impone un unico figlio. Non mi risulta che esistesse questa differenza fra maschi e femmine nei decenni precedenti e quindi mi sembra davvero improprio parlare di “cultura”.


In quella intervista, mi è stato chiesto se in Cina c’è una preferenza per il maschio. Certamente per molti ancora conta avere una discendenza con il proprio cognome (è una cosa che condanno, ma non mi sembra affatto che sia un aspetto tipico solo della “cultura cinese”). Per le famiglie contadine avere una sola figlia, inoltre, vorrebbe dire destinarla ad una vita molto dura, dato che non esiste un sistema pensionistico per i contadini. Proprio questo ragionamento rispetto al lavoro e per la migliore capacità di adattamento delle ragazze rispetto ai coetanei maschi, su cui ho sentito discutere tanti e tanti cittadini cinesi in Italia, li spinge qui a non avere un’analoga predilezione per il figlio maschio.

Maria Omodeo (dal blog di Anna Meldolesi)

Dicevamo che nonostante i giochi di artificio lo scalpore si allenta. Ma ciò deve essere dispiaciuto ai redattori dell'edizione fiorentina del quotidiano, che undici giorni dopo tornano alla carica. E chi pensava che con la sparata precedente fosse stato raggiunto il livello minimo di dignità, deve ricredersi: i botti sono ora ben più rumorosi. Il "mistero" viene rilanciato, le 500 bambine scomparse ma virtuali diventano "le neonate fantasma", con il sovrappiù della provocazione a un interlocutore, chiamato in causa perché aiuti a tenere la notizia anche in mancanza di certezze.

"Le neonate fantasma e il silenzio della sinistra", è il titolo del fondo (sempre in grande rilievo) di Fabio Galati il 24 novembre. Vi si parla senza pudore di una nuova fattispecie di reato, la "strage fantasma": "Strage fantasma perché una schiera di neonate, cinquecento in tre anni, mancano all'appello e nessuno se ne era accorto".

Responsabili di questa "strage" sarebbero (checché ne dica la fondista Stancanelli usa-e-getta) le "culture" di provenienza degli immigrati: "Questo fenomeno, dicono ancora i numeri, riguarda alcune comunità di immigrati. Capirne i motivi conduce facilmente a ricordare le culture da cui provengono e il ruolo delle famiglie, che spesso sono fortezza in un mondo alieno, ma anche prigione per chi vuole aprirsi al Paese che ospita". Si passa poi all'attacco delle amministrazioni locali: "Quello che sorprende è il sostanziale silenzio delle altre istituzioni, Comuni in testa, ma soprattutto quello delle parti politiche. E se dalla destra non ci saremmo aspettati una mobilitazione che vada nel segno di una maggiore integrazione, inspiegabile è come la sinistra, quella moderata e quella radicale, stia nascondendo la testa sotto la sabbia.

Silenzio. Forse dobbiamo chiederci perché. Viene il dubbio che l'argomento delle bambine mai nate sia visto con l'imbarazzo di chi teme che possa diventare il veicolo dell'ennesimo attacco alla 194 e alla libertà di scelta della donna di fronte al dilemma dell'aborto."

L'ipotesi sostituisce ogni realtà verificabile

Neonati

E arriva, immancabile, l'argomento principe, quello del periodo ipotetico di secondo tipo, che nel discorso scientifico e filosofico serve per sperimentare situazioni (si parla di possibilità per ampliare il ventaglio delle riflessioni), e in quello giornalistico è devoluto alle intimidazioni: si danno per certe possibilità e se ne deducono giudizi senza possibilità di appello (come discutere del possibile usato come reale?) . "Se così fosse, vorrebbe davvero dire che i frutti avvelenati del berlusconismo hanno intossicato la sinistra anche quando e dove pensava di essere immune."

Riassumo il procedimento:

Ci si chiede il perché di un fenomeno che è ancora da dimostrare;

Si procede senza verificare l'ipotesi 1, ma dandola per verificate, e ci si innesta un'ipotesi sotto forma di dubbio;

Si usa il congiuntivo "se così fosse" per dedurre dal punto 2, ad alto quoziente di immaginazione, un giudizio che, dato il luogo in cui viene formulato (il medium) agisce da ricatto.

Se fosse vero a, e se su questa base virtuale mi fosse consentito avanzare l'ipotesi a', allora potrei anche tirar fuori il giudizio a". Sembra poggiare su basi più solide la discussione sulla scomparsa degli angeli.

Una retorica straziante: "ci" mancano le 500 bambine stragiate, ce ne fottiamo di quelle nate davvero

Ma il buon Galati ormai è lanciato, e chiude infine con un'altra impennata oratoria, come Polito: "Se è un problema di cultura, mettiamo in campo altra cultura. Se è un problema di individui, schieriamo forze che aiutino quegli individui. O qualcuno ci dica che è normale così, che a queste latitudini nascono meno femmine in certe comunità. Ma il silenzio no. Serve solo a far finta che quelle cinquecento bambine non ci manchino."

Non è la prima volta che le perorazioni appassionate in nome di bambini non nati coprono col loro frastuono l'assoluta mancanza di attenzione al diritto dei nati. Ci si chiede dov'erano questi giornalisti a cui mancano (con il "ci" patetico) le bambine non nate quando le neonate rom "sgomberate" a Firenze e dintorni dormivano per strada, sottozero, lo scorso gennaio-febbraio. O quando un quotidiano fiorentino, di fronte ai dati di 600 parti di mamme straniere, intitolava a caratteri cubitali: "618 culle clandestine a Careggi! Boom delle prestazioni sanitarie". Si erano dimenticati, quella volta, di insorgere, a difendere la legittimità di prestazioni sanitarie a 618 donne, peraltro definite "clandestine" anche se quasi tutte regolari? Non veniva attaccata la Sanità che permetteva la nascita di bambini definiti "clandestini"? Qui si parla di una "strage" indimostrata di 500 bambine, senza nessuna cautela riguardo le donne una parte assai ridotta delle quali eventualmente, vittime di forti condizionamenti socioculturali, forse hanno abortito, e che invece vengono indicate come coloro che avrebbero compiuto questa strage. Loro e la loro "cultura": ti pareva, se non tornava qui, questa parola da vent'anni usata come sinonimo ipocrita di "razza" (perché Stancanelli, che queste cose le capisce, non interviene a prenderne le distanze?)

"La Repubblica" come luogo di emergenza della verità e di espiazione

Passano solo due giorni e stavolta è Pippo Russo, noto saggista e scrittore, a tornare sul tormentone, sempre sulla prima pagina dell'edizione locale, con grande rilievo. Si passa dalla strage fantasma a "Le donne la sinistra e lo spettro del genericidio". Pippo Russo non è scosso, nella sua professionalità, dall'enfasi dell'articolo di Galati, anzi sostiene che esso "a proposito della (presunta, possibile) strage delle bambine nasciture e del silenzio fatto registrare dalla sinistra sul tema, ha il merito di porre una questione scomoda ma ineludibile". Russo ripercorre imperterrito la stessa trafila di illazioni a cascata di Galati, senza preoccuparsi di verificare se reggano a una verifica (la scarsità dei campioni, la poca durata dei dati...), e invita la sinistra in Toscana a intervenire (su "Repubblica", suppongo, e in fretta, pena un'altra sollecitazione tra due giorni). Di nuovo, l'oratoria finale è ricattatoria: "continuare a eludere il problema sarebbe un crimine grave quasi quanto il gendercide stesso". "Continuare"? Ecco un bel caso, direbbero gli specialisti del discorso subdolo, di allusione che dà per scontata la persistenza da parte delle autorità sanitarie e amministrative in una indifferenza cinica tutta da dimostrare, e dalla quale i neofiti di Repubblica sembrano essersi svegliati di botto, appena in tenpo per rampognare i compagni di sonno.

Se ne deduce che se gli amministratori responsabili corressero tutti a dichiarare a "Repubblica" che se ne occuperanno, sarebbero assolti dal Pippo Russo, che quelli di "Repubblica" li ha già belli e assolti. Da quale colpa? Indifferentismo o cinismo nei confronti della strage non dimostrata ma statisticamente possibile di 165 bambine l'anno. Circa la stessa cifra che manca all'appello alle bambine nate da cittadine italiane nel Circondario empolese-valdelsa nel 2010: con 114,9 maschi contro 100 femmine, si è superata la cifra della popolazione romena in Toscana, 113 contro 100, e su un campione di popolazione doppio. Ma quella del Circondario è sicuramente un'oscillazione, quella della popolazione romena rientra nella strage di massa su cui ci "informa" Repubblica.

Il fondo di Pippo Russo ha un merito: non insiste sulle culture e le famiglie, né sul pericolo che i presunti aborti selettivi "contagino" l'Europa. Ha anche un limite, grave: riproporre un tema enfatizzato e spettacolizzato all'ordine del giorno, senza chiedersi quali implicazioni abbia il modo di riproporlo.

La strage "possibile" e l'intervento sulla realtà, quella corposa

Perché lanciare un allarme mediatico del genere, invece di contribuire alla costruzione di un percorso per aiutare tante donne nel diritto di partorire serenamente e alcune di loro a non essere poste di fronte alla scelta se mettere al mondo una bambina o no, forse farà vendere qualche copia in più di un giornale, ma non aiuterà a ridurre neanche di poco le sofferenze dei possibili non nati e tanto meno quelle dei sicuramente nati.

Neonati

Una donna cinese in Italia, ad esempio, non ha molte ragioni per attuare un aborto selettivo. Sappiamo che in Cina una percentuale preoccupante di donne lo fa, ma non per fattori "culturali" mitizzati da (pseudo)-ricercatori e giornalisti in vena di banalizzazione. Un bambino, ancora in embrione o già nato, si tiene o no per mille altri motivi, la maggior parte dei quali non hanno a che fare con mitizzate e stigmatizzate "radici culturali" (un principio esplicativo analogo all'"istinto": facile da usare per spiegare superficialmente ciò che si vuole, impossibile da dimostrare). Uno è la povertà, un altro la mancanza di tempo ed energie per le cure parentali (che in Cina hanno tradizioni millenarie di grande dignità), un altro ancora la difficoltà a mandare il bambino al nido (con la mancanza concomitante di zii e nonni). Queste prime ragioni possono sopravvivere ed addirittura acuirsi dopo l'arrivo in Italia (e dipende molto dalla società di arrivo, le sue leggi, il suo welfare, la chiusura o meno nei confronti die nuovi arrivati etc.); ma contano meno di un'altra, decisiva, per cui si scappa, anche, dalla Cina, è una legge recente che costringe a limitare la nascita a un solo figlio (meglio maschio, per esempio, in rapporto al mercato del lavoro). Quante donne cinesi abbiamo conosciuto, che ce lo hanno raccontato come uno dei motivi dell'emigrazione! Ma i cronisti sono sordi a queste testimonianze, che potrebbero raccogliere da 20 anni: altro che "fortezze in un mondo alieno"...

Già per il solo fatto di essere in Italia, molte famiglie cinesi e indiane non hanno nessun bisogno di evitare la nascita di una femmina. Possiamo lavorare per ridurre le altre possibili cause di un fenomeno in regresso. Viceversa, vederlo come legato a "radici culturali" senza lavorare sul sistema di protezione sociale può condurre a una perpetuazione di tali comportamenti, ripeto, fortemente minoritari. Forse i nostri bisnonni (o almeno i miei e quelli di Pippo Russo, date le origini), se avessero potuto, avrebbero praticato l'aborto selettivo (specie dopo che un maschio non era arrivato tra i primi) assai più delle popolazioni immigrate, oggi. Poi si passò a: "è femmina però è bella" (diffusissimo in Calabria e nel meridione fino a pochi anni fa, come testimoniano studi accurati), e ora, appena redenti da tanta considerazione delle femmine, siamo qui a parlare di strage altrui: se posso essere franco con un autore di cui ho letto i romanzi e addirittura le cronache calcistiche, pur senza essere appassionato di quello sport, l'aggettivazione di Pippo Russo, "presunta, possibile strage" mi sembra francamente pusillanime, di chi tira il sasso e nasconde la mano: c'è strage e strage, che strage è quella "possibile"? Certo, questo modo di procedere non aiuta a comunicare con questi cittadini e soprattutto con queste donne, "presunti stragisti". Se invece Pippo Russo vuol dare una mano a riconoscere meglio il diritto delle donne non di cittadinanza italiana a una maternità responsabile e serena, benvenuto.

Ruolo delle istituzioni

Le istituzioni non vanno sollecitate con campagne sensazionalistiche (alle cui pressioni rischiano di rispondere cavalcandole o adeguandosi senza riflettere, o prendendo tempo, secondo le inclinazioni), ma va riaperto con loro un confronto sui modi dell'accoglienza (per così dire) dei nuovi venuti. Se si vogliono rimuovere i motivi residuali di un possibile comportamento selettivo secondo il genere nell'accettazione di un figlio sarà necessario per prima cosa ascoltare, ascoltare e ascoltare dei portatori di diritti con cui si è giocato irresponsabilmente al ribasso. E magari ascoltare chi li conosce da vicino, come Maria Omodeo, (di cui riportiamo un intervento). C'è un abbandono crescente del riconoscimento di molti diritti, e alcune ingenuità "culturaliste", parallele a quelle dei giornali, non hanno aiutato.

Ricordo, per la pertinenza al tema, l'incontro con il direttore di una ASL Toscana, molto simpatico e colto, ma convinto che gli immigrati si dividessero in "comunità", con dei "capi" autorevoli e riconosciuti (li chiamava leader, ma ne parlava come di capi-tribù). Bisognò farlo recedere dalla volontà di parlare con questi "leader" (rigorosamente maschi, nel suo immaginario e nella realtà dove tali "comunità" sono state favorite dalla società di accoglienza: la profezia che si autoavvera, dei maschi locali sui maschi in arrivo) per una campagna (soprattutto rivolta alle donne) di informazione sull'aborto, su quello responsabile, s'intende.

L'aneddoto significa anche che con mille ingenuità (che abbiamo cercato di mettere in discussione) alcune istituzioni dodici anni fa già cercavano di dialogare con il mondo dell'immigrazione, sull'aborto e sul suo abuso, compreso quello selettivo. Una pratica che forse non si è proprio finto di non vedere, ma che ora questa crociata sensazionalistica (svolta da professionisti della penna che si muovono con ferrivecchi concettuali come "comunità", "integrazione", "radici culturali" etc.) rischia di enfatizzare senza aiutare a comprendere come intervenire efficacemente. Chiederei alle istituzioni un percorso a partire o ripartire da subito, ma lento ed efficace, e non una gita a Canossa come chiesto dalla crociata di "Repubblica" (edizione di Firenze). Tanto, poi, si passerà ad altra crociata, magari contro i medesimi untori, ma sospetti di altro contagio.

Powered by PhPeace 2.6.44