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I rom non rubano i bambini

I risultati di una ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes su alcuni casi di presunto "furto di bambini". I dati dimostrano che la leggenda è appunto una leggenda, eppure continua ad essere riproposta dai media
5 dicembre 2008

Rom ladri di bambini? Una leggenda metropolitana
Analizzati 40 episodi. Gli esperti: nessun bambino rapito. E negli 11 casi di sparizione: ''Minori vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti dove vivevano: pedofili, conoscenti, parenti''. La responsabilità dei media

ROMA - Rom ladri di bambini: una leggenda metropolitana. Questo in estrema sintesi il risultato della ricerca "Sottrazione di minori gagé", commissionata dalla Fondazione Migrantes al dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell'Università di Verona e realizzata da Sabrina Tosi Cambini, sotto la supervisione dell"antropologo Leonardo Piasere. Partendo dall'archivio dell'Ansa e dalla consultazione dei fascicoli dei tribunali, l'indagine prende in esame un periodo di oltre venti anni, dal 1986 al 2007. I casi presi in considerazione sono 40 in tutto, di cui 11 sparizioni. E il risultato è chiaro: nessun bambino è stato mai veramente rapito. Si tratta sempre di un tentato rapimento o, meglio, del racconto di un tentato rapimento.

Secondo la curatrice della ricerca il problema principale è che, quando le forze dell'ordine verificano che si è trattato soltanto di un equivoco, la stampa dà poco o nessun rilievo alla notizia. E nei pochi casi in cui i media tornano sulla vicenda non è certo per dire che i rom non c'entrano niente, ma perché le indagini delle forze dell'ordine portano alla luce altri eventi: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità. Dall'esame dei diversi casi emerge una serie di elementi ricorrenti: sono quasi sempre le madri ad accusare una donna rom di aver tentato di rapire il proprio bambino, non ci sono testimoni del fatto e gli eventi si verificano spesso in luoghi affollati come mercati o vie commerciali. "L'analisi comparativa dei casi - spiega Sabina Tosi Cambini - ci porta a poter affermare che laddove vi è la presenza di un infante, l'avvicinamento di una persona rom è subito vissuto come un pericolo per il proprio figlio: lo stereotipo "gli zingari rubano i bambini" risulta essere molto più potente di qualsiasi altro".

Quanto ai sei casi, sui ventinove presi in esame, che hanno portato all'apertura del procedimento e dell'azione penale, dalle carte processuali emerge "l'utilizzo delle categorie del senso comune da parte degli operatori del diritto come base attraverso cui adattare la categorizzazione prevista nei codici alle circostanze del caso", avverte la ricercatrice, che ricorda anche come i rom siano non solo immigrati, ma soprattutto persone socialmente e giuridicamente deboli. Per esempio nella sentenza di colpevolezza per tentato delitto emessa dal tribunale di Brescia nel 1996 si legge che la pericolosità sociale dell'imputata è "in una con la sua condizione di nomade". E la stessa cosa accade a Roma nel 2001, dove la donna rom imputata viene condannata anche lei per tentato delitto e non ha nessun peso il fatto che il suo certificato dei carichi pendenti risulti negativo: per il giudice la sua condizione di "nomade" basta a renderla pericolosa e capace di commettere azioni criminose.

Per quanto riguarda, infine, gli 11 episodi di sparizione di bambini analizzati, la ricerca ricostruisce sia i momenti in cui rom e sinti entrano tra i soggetti sospetti sia gli esiti degli accertamenti dell'attività investigativa, che risultano sempre negativi. "La drammaticità delle vicende di queste sparizioni - commenta l'autrice della ricerca - si rende ancora più acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l'epilogo: l'opposizione fra ciò che è accaduto realmente a questi bambini e l'immaginario stereotipico del rapimento da parte dei rom emerge con una forza squassante. Questi bambini sono stati vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti dove vivevano: pedofili, conoscenti, parenti". Ma per l'opinione pubblica i colpevoli sono sempre gli stessi: i rom, ormai considerati ladri di bambini per antonomasia. (ap)
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Bambini rom, ''vanno allontanati dalla famiglia''
Indagine di Fondazione Migrantes e Università di Verona sui minori in affidamento o in adozione a famiglie non rom. Gli esperti: ''Pericolosa equiparazione tra un minore rom e un minore maltrattato''

ROMA - Ladri di bambini o derubati dei loro figli? Una ricerca in due fasi - commissionata dalla Fondazione Migrantes al dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell'Università di Verona e curata dall'antropologo Leonardo Piasere, uno dei massimi esperti italiani in materia di rom - cerca di fare luce su un fenomeno molto spesso al centro delle cronache: quanti bambini figli di rom o di sinti, sono stati dati in affidamento o in adozione dai Tribunali del minori italiani a famiglie gagé (non rom)? Ma anche: è vero che i rom rubano i bambini italiani e quanti sono - eventualmente - i tentati rapimenti di rom da parte di non rom? l progetto di ricerca "Adozione dei minori rom e sinti", condotto da Carlotta Saletti Sanza, si basa sulla raccolta il più esaustiva possibile di dati relativi all'affidamento e all'adozione di minori rom e sinti a famiglie non rom da parte dei tribunali dei minori italiani, nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005. La ricerca si basa sulle dichiarazioni di adottabilità registrate presso otto tribunali minorili sui ventinove presenti in Italia (Torino, Bologna, Bari, Lecce, Trento, Firenze, Venezia e Napoli) e sulle informazioni raccolte nei servizi sociali di territorio, comunali e ospedalieri, in materia di allontanamento dei minori dal nucleo familiare. Complessivamente sono stati rilevati oltre 200 casi di minori rom e sinti dichiarati adottabili.

Da questa analisi - spiega Carlotta Saletti Salza - emerge la pericolosa equiparazione tra un minore rom e un minore maltrattato. Come se una cultura "altra" potesse far male a un bambino solo per il fatto di essere diversa. Molti magistrati minorili e molti operatori ritengono i bambini in una situazione di pregiudizio soltanto perché rom o perché vivono nei cosiddetti "campi nomadi". Un'idea che - secondo l'autrice della ricerca - nasce dall'implicita convinzione che la popolazione rom non preveda alcuna tutela dell'infanzia e che manchi totalmente della capacità genitoriale. Da tali presupposti consegue che l'intervento di tutela sociale e civile del minore diventa in primo luogo quello di tutelarlo dalla sua famiglia o dalla sua cultura.

E allora cosa accade ai minori rom? Tra i casi presi in esami dalla ricerca vi sono situazioni nelle quali i minori trovati in strada da soli o con gli adulti di riferimento vengono allontanati dai genitori e poi inseriti in comunità. Una volta in comunità il provvedimento del tribunale dei minorenni dispone che i minori non possano più incontrare i propri familiari, fino al termine dell'istruttoria. Concretamente questo vuol dire che i bambini non possano più incontrare i propri genitori per lungo tempo, con gravi conseguenze nella loro relazione. In altri casi i minori vengono allontanati dalla famiglia perché i servizi sociali valutano che le condizioni abitative non sono adeguate alla loro tutela. Oppure può accadere che l'allontanamento avvenga perché un bambino "mangia con le mani" o "non indossa il pigiama per andare a dormire".

Insomma, pur non volendo escludere l'esistenza di situazioni di effettivo abbandono di minori rom, la ricerca mette in evidenza la contraddizione nella quale cadono in molti, operatori sociali e magistrati minorili, di identificare sempre il minore rom come abbandonato. Posti questi presupposti, quale soluzione è possibile? Per Carlotta Saletti Salza bisognerebbe disporre di strumenti di conoscenza che si avvicinino il più possibile al contesto culturale del minore, ma anche "smettere di pensare alle cultura rom come una cultura statica e immutabile, come se i minori fossero destinati alla povertà materiale e culturale dei loro genitori". Se i rom vivono nei "campi nomadi" - prosegue l'autrice - non è per loro volontà, ma per la scelta delle amministrazioni comunali "di mantenere queste comunità in una condizione di grave precarietà sociale e civile". E allora se i bambino rom oggi non sono tutelati - conclude - "la responsabilità è solo nostra". (ap)
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