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"Il Papa parla di irregolari non di clandestini"

Un'intervista con monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i migranti. Marchetto fa notare come Benedetto XVI usi il termine "irregolari", anziché clandestini, e come l'Osservatore Romano faccia lo stesso. "Questa è stata una nostra battaglia: non identificare l'immigrazione irregolare con il crimine, non criminalizzare tale condizione". Da Liberazione
3 settembre 2008

 Fulvio Fania

Monsignor Agostino Marchetto ci risponde al telefono da Frisinga, in Germania, dove ha introdotto il sesto congresso mondiale della pastorale per gli zingari: 150 partecipanti da 25 paesi, vescovi, preti, religiosi e laici impegnati tra le varie popolazioni nomadi. Quest'anno si discute della condizione e del ruolo dei giovani nelle comunità zingare. La loro gioventù si consuma in fretta, si diventa grandi a sedici anni e spesso si paga il prezzo più pesante della discriminazione, tagliati fuori dalla scuola e dal lavoro.

Marchetto è segretario del Pontificio Consiglio per i migranti che è presieduto dal cardinale Renato Martino, il quale proprio ieri ha annunciato un prossimo documento vaticano sulla povertà. Né l'arcivescovo né il cardinale hanno mai usato troppi giri di parole per rivendicare i diritti degli immigrati ed in particolare per denunciare le violazioni al diritto d'asilo. Stavolta Marchetto può citare direttamente il discorso pronunciato dal Papa dopo l'Angelus di domenica scorsa.

Monsignor Marchetto, l'appello del Papa ha sorpreso per la forza con cui ha richiamato all'accoglienza verso gli immigrati irregolari. E' questo il senso del messaggio? E che cosa ha spinto Ratzinger a lanciarlo?
Il susseguirsi di tragedie alle quali assistiamo quasi impotenti. La Chiesa è madre in modo preferenziale verso i suoi figli più poveri. Ciò spinge il Santo Padre ad affrontare questi drammi che non sono limitati al Mediterraneo ma si soffrono anche in Atlantico o nei deserti tra Messico e Usa. Si acuiscono questioni gravissime, segno dei nostri tempi di enorme mobilità umana. Mi sembra importante inoltre che Benedetto XVI usi l'aggettivo "irregolari".

Anziché clandestini...
Questa è stata una nostra battaglia: non identificare l'immigrazione irregolare con il crimine, non criminalizzare tale condizione. E' perciò significativo che il Papa usi questo aggettivo così come, del resto, fa anche dall' Osservatore romano .

C'è chi, ad esempio "Avvenire", sottolinea però che quello del Papa sarebbe in realtà un richiamo al «realismo politico» in tema di immigrazione.
Il Papa conferma ciò che il Pontificio Consiglio per i migranti ha sottolineato: la necessità di verificare la realizzazione dei cosiddetti principi della sicurezza perché ci siano sempre accanto quelli dell'accoglienza. Questo equilibrio è instabile e difficile. Siccome la Chiesa è madre oltre che maestra, con umiltà e convinzione, deve indicare la parte del binomio che viene a mancare. E' dunque legittimo che il Papa, cui giungono molti segnali delle tragedie nel mondo, dica qualcosa per raddrizzare la barca, se vogliamo anche quella di Pietro, e più in generale orienti le nostre società verso un umanesimo.

Benedetto XVI ha chiesto ai paesi ricchi "iniziative sempre più adeguate alle necessità degli immigrati irregolari".
Il Papa applica il celebre principio "unicuique sum tribuere" quando specifica le diverse responsabilità di istituzioni e persone coinvolte, a partire dai paesi di provenienza affinché combattano il traffico di esseri umani e si impegnino a garantire condizioni minime di vita; richiama i nostri paesi all'equilibrio necessario tra accoglienza e sicurezza; esorta gli stessi immigrati a non mettere a repentaglio la loro vita; presta un'attenzione tutta particolare ai richiedenti asilo. Nei nostri orientamenti per la pastorale dei migranti abbiamo scritto che è compito della stessa Chiesa istruire gli emigranti sulla realtà delle terre in cui intendono recarsi, le ideologie, le mentalità e i rischi che incontreranno. In questo momento il Santo Padre ha giudicato che fosse necessario richiamare in particolare proprio le esigenze che lei ha ricordato.

Se valutiamo il precedente appello del Papa contro il razzismo insieme a quello più recente sull'immigrazione la Chiesa appare davvero preoccupata per un'ondata di xenofobia e razzismo.
La gigantesca mobilità umana può ingenerare complessi di accerchiamento e reazioni inconsulte. La Chiesa che, istituì 50 anni fa una pastorale specifica, vede con preoccupazione il rinascere di queste reazioni, certamente non cristiane, anche da parte di persone che si dicono cattoliche. Se ribadiamo la necessità di accogliere è, come dicevo, per cercare di equilibrare. Il cattolico è per la congiunzione et-et, non per l'aut-aut.

Un congresso per gli zingari: davvero lei va controcorrente mentre si prendono le impronte ai bimbi rom e si bruciano i campi...
Siamo preoccupati, sì. Il rapporto Osce a proposito degli zingari offre molti motivi di allarme. Tutti i paesi hanno qualcosa da rivedere alla luce dei grandi principi internazionali. D'altra parte il Consiglio d'Europa, l'Osce, il Forum di rappresentanza costituito presso il Consiglio d'Europa e la Chiesa stessa mostrano una presa di coscienza: dobbiamo rispettare le norme di tutela della dignità umana e delle minoranze. Gli zingari sono la minoranza più numerosa d'Europa, dobbiamo aiutare gli stati a capire che è il momento per uno sforzo straordinario di integrazione delle popolazioni zingare. Non di assimilazione. In Europa ci sono 4,5 milioni di ragazzi zingari che devono andare a scuola, ciò rende chiara la sfida per il bene della stessa Europa.

Lei ha parlato dei fenomeni delinquenziali tra giovani zingari come "conseguenza di una coercizione precedente e collegata a situazione di povertà, discriminazione ed emarginazione".
Ho parlato anche del traffico di esseri umani; ho cercato di mettere assieme diversi fattori, ma ho anche citato le grandi possibilità positive offerte dalla popolazione giovanile zingara.

Proprio oggi uno studio Caritas-Migrantes evidenzia che gli immigrati albanesi in Italia, un tempo considerati più o meno tutti criminali, siano ormai ritenuti tra i meglio integrati.
Per questo credo che il fattore speranza debba essere nel Dna di tutti per cambiare i pregiudizi trasformando le discriminazioni in accoglienza. Noi cristiani dobbiamo essere i primi ad operare verso questa "utopia" peraltro realizzabile.

Il "ministro degli esteri" vaticano Mamberti ha chiesto la regolarizzazione dei cristiani iracheni immigrati irregolarmente. Il vostro Consiglio opera in questo senso?
Abbiamo compiuto interventi sugli Stati per aiutare i fratelli iracheni, sia quelli rifugiati sia i migranti attualmente irregolari affinché fossero regolarizzati. D'altra parte le chiese locali temono la caduta della presenza cristiana in Iraq. Inoltre, ad esempio qui in Germania, è stato obiettato che vanno evitate discriminazioni tra immigrati cristiani e non cristiani.

Liberazione, 3 settembre 2008

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