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Dal Lago: la xenofobia e la complicità dei media

Un articolo di Alessandro Dal Lago sul Manifesto. Sociologo, studioso delle migrazioni, autore di un famoso libro sull'Italia e i migranti ("Non persone", Feltrinelli), accusa i media: "Riportano gli episodi di razzismo istituzionale con un tono indifferente o sbarazzino"
13 giugno 2008

 Il Manifesto

II razzismo «de noantrì»

di Alessandro Dal Lago

Dall'entrata in carica del governo Beriusconi, la persecuzione degli stranieri, dei migranti, dei rom e dei cittadini italiani sinti è divenuta capillare e ossessiva. Si direbbe inoltre che il razzismo di strada sia in qualche modo coordinato o in sintonia con l'attivismo istituzionale: controlli della polizia sugli autobus, sgomberi dei nomadi, rastrellamenti di prostitute e transessuali, schedatura dei sinti, decreti che attuano principi discriminatori e incostituzionali come l'aggravante dei reati per clandestinità.

La risposta politica a questa tenaglia xenofoba è inesistente. La sinistra radicale ex parlamentare sembra ancora frastornata dalla batosta elettorale, mentre l'opposizione di sua maestà, a parte dichiarazioni rituali, collabora con il governo. Fa impressione vedere un Veltroni negoziare qualsiasi cosa con Berlusconi, magari i suoi spazi tv mentre la polizia rastrella i rom. La magistratura, a cui pure si devono le poche critiche argomentate al pacchetto sicurezza, sembra attestata su una difesa dei propri spazi e prerogative.

Ma ciò che appare inaudito, in una cosiddetta democrazia liberale, è l'atteggiamento della stampa (sulla tv meglio sorvolare). A parte la campagna xenofoba di Libero o del Giornale, i cosiddetti giornali indipendenti insistono sull'«insicurezza dei cittadini», mentre a essere minacciati e umiliati, giorno per giorno, sono esseri umani, cittadini italiani e no, discriminati in base all'origine. I quotidiani riportano gli episodi di razzismo istituzionale, quando si degnano di riportarli, con un tono indifferente o sbarazzino.

Non si può definire quello che sta avvenendo in Italia se non come fascistoide. In primo luogo, per l'impunità di cui sembrano godere gli aggressori (Napoli) o anche per la vera e propria simpatia (il vendicatore del Pigneto, che sarebbe uno di sinistra, de noantri, secondo la Repubblica). Ma anche per l'evidente copertura istituzionale, come nelle incredibili dichiarazioni di Bossi dopo i roghi di Napoli, al solito accolte dai media come simpatiche manifestazioni di goliardia.

Quando definisco fascistoide la svolta italiana mi riferisco al fatto banale che è promossa dalle istituzioni in un quadro formalmente democratico, e che forse resterà tale. Ma in questo non vedo alcuna consolazione. A parte il fatto ben noto che la storia si ripresenta sempre in forma di farsa, che le istituzioni perseguitino nomadi e «diversi» (compresi cittadini italiani) con l'appoggio dell'opinione pubblica o magari della maggioranza degli elettori è un'aggravante e anche un motivo di angoscia. Tutto diviene possibile.

Se e quando il governo deciderà di smettere di suonare la grancassa, la persecuzione continuerà in forme meno appariscenti ma comunque disumane: nomadi in fuga non si sa dove, con i loro bambini cacciati dalle scuole, gente costretta a stare almeno un anno e mezzo nei Cpt, donne perseguitate sui marciapiedi, annegamenti di migranti. Il dramma è che all'estero, al di là degli interventi di qualche parlamentare europeo e di organizzazioni come Amnesty, sembra che la gente non sappia o non ci creda. Ah, ìes italiens! L'anomalia italiana, il malato d'Europa, si dice alzando le spalle.

Ma il problema non sono i nostri conti, cari burocrati europei. Se davvero si pensasse a questa svolta come a un'eccezione folcloristica si commetterebbe un errore di valutazione mortale. Che la persecuzione avvenga contro le minoranze e i marginali significa che le maggioranze, anche quelle non apertamente razziste e magari riformi-ste, possono continuare a bearsi ottusamente delle loro libertà e dei loro privilegi. Basta che non guardino e non vogliano sapere

Come avrebbero dovuto insegnarci i casi olandese, austriaco e danese, l'Europa non è affatto protetta dalla xenofobia. Sugli stranieri e sui nomadi si possono scaricare l'insicurezza economica o esistenziale, la paura del futuro, la fine delle illusioni europee. Dovunque, un ceto politico cinico e avventurista può sfruttare, come avviene in Italia, l'insoddisfazione generale a fini di consenso. Non costa nulla.

E qui si misura la miopia di chi, da noi, nella cosiddetta sinistra moderata, ha gettato benzina sul fuoco, corrodendo le basi antifasciste della prima repubblica, piagnucolando sui caduti di Salò, come se non fossero morti rastrellando i partigiani e collaborando con i nazisti, e quindi facilitando lo sterminio di ebrei, antifascisti, omosessuali e nomadi.

Questo revisionismo straccione e mortuario per fortuna non è ancora passato in Europa, almeno ufficialmente. Nessuno si sognerebbe di resuscitare Pétain, Mosley, Quisling o altri emuli di un Giorgio Almirante, che oggi vogliono far passare per un padre della patria. Ma proprio perché gran parte dell'Europa è meno accecata che da noi (o resta legata a parole alle sue origini antifasciste), è necessario che la xenofobia italiana sia registrata, documentata e fatta conoscere all'esterno.

Essere più o meno globalizzati, competere economicamente con il resto del mondo, e magari godere di una moneta forte, per far contenti quattro banchieri di Francoforte o gli esportatori americani, non è affatto incompatibile con forme più o meno larvate di fascismo. Anzi. Non sono solo i ceffi della Lega a governarci all'intemo, ma anche l'erre moscia di Tremonti e il fanatismo burocratico del giovane Frattini a rappresentarci nel mondo.

Attenti, europei con un minimo senso di decenza. Oggi, i pogrom cominciano nel pittoresco stivale mediterraneo, ma domani...

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