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12 febbraio 2011 - Carlo Gubitosa

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ICI: La legge e' uguale per tutti, ma per qualcuno e' piu' uguale che per altri.

Una riflessione sulle agevolazioni fiscali del no-profit e sulla parita' di trattamento tra le religioni.
23 agosto 2011 - Carlo Gubitosa

Leggo un interessante articolo di Arianna Ciccone, che si e' presa la briga di approfondire seriamente, in modo "laico" e senza pregiudizi anticlericali o confessionali la questione sulle agevolazioni fiscali del Vaticano.

E subito mi salta all'occhio una affermazione molto perentoria:

"Non è vero che per gli alberghi la Chiesa non paga l’ICI, la paga perché quell’attività non rientra nelle attività specificate dalla legge".

Questo e' quello che dovrebbe essere a norma di legge, ma a norma di legge non dovrebbe esserci nemmeno l'evasione fiscale, o quella "zona grigia" di competenza dei commercialisti, mirata ad ottenere benefici e agevolazioni tirando l'interpretazione della legge fino ai suoi massimi limiti di elasticita'.

Passando dall'analisi teorica delle norme in vigore alla verifica delle prassi di gestione fiscale delle strutture ecclesiastiche, per smentire quel "non e' vero" basta un controesempio, che posso fornire attraverso la testimonianza diretta raccolta in questi giorni da collega giornalista:

"l’esenzione «si intende applicabile alle attività (...) che non abbiano esclusivamente natura commerciale». l'avverbio «esclusivamente» è fondamentale, e infatti non è stato messo lì a caso. Faccio un esempio pratico: un grande istituto religioso vicino casa mia, comprensivo anche di chiesa (non parrocchiale) e di oratorio, affitta stanze ad una trentina di universitari fuori sede a 400 euro al mese, ma siccome la struttura non ha «esclusivamente» natura commerciale - dal momento che c'è anche la chiesa e l'oratorio - non paga un centesimo di ici (ma incassa circa 12mila euro al mese di affitto dagli studenti!)".

Secondo l'idea che mi sono fatto, anche in base a molte altre testimonianze come quella che ho citato precedentemente, l'esempio di una cappella da due metri quadri che "bonifica" un albergo a cinque stelle non e' rappresentativo di una realta' fatta di molti casi "borderline" come quello appena citato.

Quanti casi del genere potremmo rilevare se ci fosse una agenzia delle entrate in grado di darci la trasparenza che meritiamo sui nostri soldi che finiscono in "beneficenza"? Ciascuno dia la sua risposta a questa domanda.

Arianna ha parlato nel suo articolo di "due miliardi di euro" di mancati introiti per l'agenzia delle entrate. Questo basta a far saltare l'obiezione "anche la Chiesa e' un ente benefico come tanti", che nell'articolo viene equiparato a "tutto il mondo del no profit", ovvero "Associazioni, fondazioni, comitati, onlus, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, circoli culturali, sindacati, partiti politici, enti religiosi di tutte le confessioni".

La domanda da farsi per capire se siamo di fronte a un caso come tanti e' "quante di queste organizzazioni trattengono due miliardi di euro di mancati versamenti di imposte che potrebbero essere utilizzate per la cosa pubblica?"

E' questo il vero dato rilevante, e qualora si scoprisse che al netto della Chiesa Cattolica la piu' grande organizzazione no-profit compresa in quell'elenco di categorie raggiunge soltanto 200.000 euro annui di esenzioni, tanto basterebbe a rendere ragionevole l'imposizione di un "tetto", magari di mezzo milione di euro ma non di piu', che metta un limite al risparmio fiscale di un ente benefico, che con mezzo milione di euro all'anno (piu' le altre esenzioni e agevolazioni diverse dall'Ici) puo' fare tutta la beneficenza che vuole.

Ma proviamo a prendere per buona l'analisi iniziale, in base alla quale la legge e' una foto della realta' che vi si adatta e tutti quei due miliardi di euro di esenzioni sono legati ad attivita' esclusivamente confessionali.

Non e' quantomeno anomalo che una organizzazione religiosa abbia dei patrimoni immobiliari per usi confessionali cosi' imponenti, che costerebbero due miliardi di oneri fiscali se questa multinazionale non avesse un settore di "responsabilita' sociale" associato ad una confessione religiosa?

Secondo le nostre leggi, per l'iscrizione all'anagrafe delle Onlus bisogna documentare di rivolgere le proprie attivita' esclusivamente verso soggetti svantaggiati, e non mi sembra che gli studenti di alcuni lussuosi pensionati religiosi rientrino in questa categoria. In piu' (ma qui vado a memoria perche' quelle leggi le ho lette tempo fa) se una normale Onlus ha delle attivita' commerciali che superano il 44% degli introiti, perde il suo status di Onlus con tutte le agevolazioni fiscali ad essa correlate.

E allora per verificare l'assunto "La Chiesa Cattolica e' uguale alle altre organizzazioni no-profit" bisognerebbe prima considerare che esistono organizzazioni no-profit che non godono di alcun beneficio fiscale ne' di esenzioni, proprio perche' non rispettano alcuni requisiti di "non commercialita'" stabiliti per legge, o perche' non si rivolgono esclusivamente a persone svantaggiate, o perche' pur rivolgendosi a persone svantaggiate le loro attivita' non rientrano tra quelle previste per le esenzioni. 

Ultima affermazione da rettificare o quantomeno da integrare: Arianna cita nel suo articolo anche gli "enti religiosi di tutte le confessioni" come beneficiari di esenzioni,  e anche qui va fatta una distinzione tra la teoria della norma e la pratica della sua applicazione. In teoria nel nostro paese la religione musulmana ha pari dignita' di quella cattolica, stando alla lettera del dettato costituzionale e della dichiarazione universale dei diritti umani.

Ma cosa accade nella pratica? Nella pratica l'oratorio cattolico con l'ostello annesso citato in precedenza viene accettato senza troppi problemi come "luogo di culto", la moschea musulmana deve trascinare in tribunale il comune per dimostrare che e' un luogo di culto. In sintesi: le strutture cattoliche sembrano luoghi di culto "a prescindere" o comunque riconosciuti piu' facilmente come luoghi di culto anche se fanno pagare delle rette per vivere in parte di quelle strutture. Per contro, le strutture musulmane hanno l'onere della prova del culto e sono luoghi privati fino a prova contraria.

Per accorgersi di questo doppio binario dove l'onere della prova pesa piu' su alcune religioni che su altre, basta esaminare l'analisi di una sentenza del luglio scorso, relativa ad un contenzioso tra il comune di Lecco e "un’associazione proprietaria di un immobile adibito a moschea"

(Cfr. "Liberta' di culto e ICI" - http://www.commercialistatelematico.com/articoli/2011/07/liberta-di-culto-ed-i.c.i..html )

Cito alcuni passaggi da questo articolo:

"Applicando l’art. 19 della Costituzione sulla libertà di culto, articolo espressamente richiamato anche dall’art. 7 del D. Lgs. n. 504/1992 (legge istitutiva del tributo ICI) il giudice tributario lecchese ha concluso per la fondatezza del ricorso, respingendo le tesi della difesa del Comune che ha tentato di sostenere che nei locali dell’Associazione non si svolgevano attività di culto, contrariamente all’evidenza documentale (le numerose fotografie allegate al ricorso) e alle sentenze passate in giudicato del Tribunale di Lecco".

Ma non e' stato facile ottenere questo riconoscimento, perche' il Comune si e' giocato tutte le carte a sua disposizione: "In primo luogo il Comune ha tentato di sostenere che doveva essere dato rilievo determinante al classamento catastale dell’immobile", che era registrato come "opificio" e non come "edificio di culto".

Ma precedenti sentenze del Tar Liguria e della Cassazione avevano gia' stabilito che "il classamento catastale non ha alcun rilievo ai fini di stabilire la destinazione d’uso e che l’esenzione dall’ICI spetta anche se l’utilizzazione concreta dell’immobile è in contrasto con la destinazione catastale". Possibile che gli avvocati del Comune di Lecco non ne fossero stati informati?

Il Comune ha tentato di sostenere anche che "l’edificio in oggetto non era un luogo destinato all’esercizio esclusivo del culto",  proprio come quella Chiesa che affittava stanze agli universitari citata in precedenza, ma con la differenza che in questo caso i frequentatori di quella Moschea hanno dovuto (e potuto dimostrare) che si trattava di luogo di culto.

Non solo con la "produzione di numerose fotografie dell’interno dei locali della moschea, dove si svolgevano unicamente i riti islamici e nessuna attività di altro tipo", ma anche grazie a "due sentenze del Tribunale di Lecco già passate in giudicato che avevano riconosciuto come l’immobile fosse destinato esclusivamente al culto della religione islamica".

Solo a leggere di queste sentenze, e della battaglia legale sostenuta affinche' un luogo di preghiera senza stanze in affitto fosse riconosciuto come tale, mi viene da sudare al pensiero della burocrazia che alcuni devono affrontare solo perche' la loro religione non e' quella giusta.

"Come ultima carta - si legge in quell'articolo - il Comune di Lecco ha sostenuto erroneamente che l’esenzione dall’ICI non spetta agli edifici di culto della religione islamica perché questa confessione non ha stipulato le intese con lo stato italiano ai sensi dell’art. 8 della Costituzione".

Ma anche questo ragionamento non sta in piedi, e il Tribunale che ha dato torto al Comune di Lecco ha respinto al mittente "un’interpretazione restrittiva dell’art. 8 Cost", perche' questa interpretazione ignora "che l’art. 19 della Costituzione stabilisce il principio che tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria religione e di esercitarne il culto sia in privato che in pubblico".

Come se non bastasse "il richiamo all’art. 19 Cost. è esplicitamente operato dall’art. 7 del D. Lgs. n. 504/1992 che stabilisce le esenzioni dall’ICI. Quindi non si potevano operare discriminazioni di sorta fra le varie confessioni".

In breve: per affermare il principio costituzionale teorico che vede le religioni tutte sullo stesso piano, all'atto pratico e' stato necessario un calvario giudiziario che nessun cattolico sarebbe mai costretto ad affrontare se decidesse di prendere quattro mura adibite a tutt'altro per trasformarle in una "struttura religiosa".

Il commento finale alla sentenza fatto da Roberto Molteni e' davvero illuminante:

"A quanto consta allo scrivente la sentenza in oggetto costituisca un’assoluta novità nel panorama tributario e potrà inaugurare un inedito filone giurisprudenziale, in quanto ad oggi non si conoscono precedenti che hanno stabilito l’esenzione dal pagamento ICI per quanto riguarda specificamente le moschee; ragion per cui si aprirà certamente un importante ed attualissimo dibattito.

 Infatti i precedenti conosciuti concernono esclusivamente gli edifici adibiti al culto della religione cattolica, relativamente ai quali peraltro, è sorto da tempo un acceso dibattito sul fatto se debbano essere o meno considerati edifici adibiti al culto le pertinenze di una chiesa oppure gli spazi ad essa contigui ove non si svolgono funzioni (es. gli oratori)."

Ripeto e traduco. Fino a luglio 2011, con buona pace di chi sostiene la parita' di trattamento tra le organizzazioni religiose, a livello giurisprudenziale non si conoscevano precedenti per "l’esenzione dal pagamento ICI per quanto riguarda specificamente le moschee", perche' "i precedenti conosciuti concernono esclusivamente gli edifici adibiti al culto della religione cattolica", e c'e' da scommettere che questa equiparazione "aprirà certamente un importante ed attualissimo dibattito", visto che le nostre "radici cristiane", o meglio le ramificazioni politiche del clero, ci rendono restii a riconoscere alla religione Islamica gli stessi privilegi riconosciuti a quella cattolica, e i comuni oppongono resistenza con i loro uffici legali fino a quando le loro interpretazioni della legge in senso restrittivo per i musulmani non sono definitivamente sconfessate da un tribunale.

In sintesi, queste le mie conclusioni:

- A mio avviso lo stato laico dovrebbe fare un serio censimento delle strutture religiose cattoliche, per distinguere con piu' chiarezza ai fini fiscali quelle dove si prega da quelle dove si guadagna.

- A mio avviso lo stato laico dovrebbe applicare un tetto massimo alle esenzioni fiscali delle organizzazioni no-profit, che attualmente sono illimitate.

- A mio avviso lo stato laico dovrebbe applicare nei fatti l'uguaglianza tra le varie confessioni religiose garantendo a tutti lo stesso trattamento fiscale e lo stesso rigore nelle verifiche di casi "dubbi".

(Chissa' se anche qualche partito "Democratico", "Laico", "Progressista" e "Riformista" e del mio stesso avviso. Spero di si', temo di no.)

- La Chiesa Cattolica, nel frattempo, dovrebbe seriamente interrogarsi sulla compatibilita' tra il messaggio di Cristo centrato sulla poverta' e le sue attivita' in ambito economico, finanziario, fiscale. O in alternativa fare una nuova edizione del Vangelo in cui Cristo non dice piu' al giovane ricco "se vuoi seguirmi lascia tutto", ma gli dice "puoi seguirmi, ma prima vai da Ponzio Pilato e registra tutti i tuoi possedimenti a nome della Dodiciapostoli Srl mettendoli a catasto come luoghi di culto". 

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